Monthly Archives: Settembre 2016

Il mio piccolo amore defunto

A Szilvi Tóth, che non ha potuto compiere dodici anni

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 Quando cercavo un momento di pace in un periodo tempestoso che infuriava nella mia vita andavo spesso a passeggiare nel cimitero della nostra città natale. Camminando tra le ceneri delle innumerevoli vite passate, guardando gli epitaffi scoloriti, le lapidi di legno marcite e i nomi sbiaditi di gente morta sconosciuta, ho cercato di rievocare la memoria delle persone tumulate vissute molto tempo prima che io nascessi, seppelliti e dimenticati decenni fa, immaginare il modo in cui avevano vissuto e comprendere in quale ombra mistica si son perduti in eterno. Vedendo sotto i nomi dei defunti soltanto alcuni anni di differenza tra le date di nascita e di morte, pensavo sempre con sgomento, compassione e con una stretta al cuore alle loro brevi e piccole vite, senza immaginare che in un angolo remoto e impervio del cimitero, all’ombra di un immenso pino silvestre, avrei visto la tua foto da bambina su una piccola tomba.
Come potrei dimenticare, e sicuramente anche tu te lo ricordi, quanto ci siamo voluti bene seppur con la timidezza infantile, con cuore sincero e onesto, e quanto eravamo contenti quando ci incontravamo al parco giochi tra la casa dei tuoi nonni e quella dei miei genitori… Quanti indimenticabili ricordi, eppure così pochi per tutta la vita, ora diventati un dolore bruciante che la memoria conserva in eterno: le confessioni sussurrate tra noi, ad occhi chiusi, con la testa girata… No, non temere Szilvi! Non dirò neanche una parola, come potrei scrivere dei nostri segreti? Nessuno potrà più conoscere i tuoi progetti, i tuoi sogni. Oh, come tremavo di gioia quando parlavi e mi raccontavi di come sarebbe stato il futuro che avevamo creato insieme tra sogni e speranze irrealizzabili, facendomi sentire un privilegiato mentre per pochi e fantastici istanti tu, sollevando su di me i tuoi occhi celesti, mi sorridevi con innocenza infantile e grazia angelica. Occhi che qualche mese dopo si irrigidirono sul gelido marmo duro ed insensibile, che il cimitero nasconde da ventun anni in un silenzio insondabile.
Quanti anni senza valore sono volati via inesorabilmente ed ineluttabilmente strappando milioni di cuori con tanta gioia e ugualmente tanto dolore e sciogliendosi nel profondo dell’anima, mentre cambiamenti per te inimmaginabili prima della tua morte hanno scombussolato l’anima e formato il corpo fisico in crescita dei tuoi ex compagni di scuola che hanno vissuto quei meravigliosi momenti che non torneranno mai più e che al solo guardare indietro, preso atto con angoscia del loro trascorrere, ci vengono i brividi. Abbiamo sentito quei sentimenti e desideri meravigliosi, sconosciuti e sempre più gloriosi col passar degli anni, che ti sono stati rubati, piccola bambina undicenne, con crudeltà e insensibilità, illegittimamente. È inconcepibile e impensabile che non hai mai potuto prendere parte a niente e mentre io sono diventato adulto vivendo tutto ciò, tu avrai per sempre undici anni, la stessa ragazzina allegra che lanciava sassi sulla strada insieme a me, che salutava gli sconosciuti con nomi che ci eravamo inventati lì per lì e che dicevamo scherzando agli altri bambini che eravamo novelli sposi. Eri una sposina di undici anni quando all’improvviso non sei più venuta a giocare… che continuavo a cercare invano con la dignità di un ragazzino, combattendo contro tutto e tutti, col cuore oppresso… Che davanti agli adulti, per paura che si venissero a scoprire i miei sentimenti d’amore, ho potuto ritrovare solo da adulto e il rivedersi mi fa crollare addosso tutti i terribili tormenti accumulatisi durante le settimane e i mesi trascorsi nel frattempo, che il destino, in un momento crudele tra le vicissitudini della mia vita, mi ha rivelato: il mistero della scomparsa della mia innamorata che arrossiva timida…
Se tu avessi potuto vivere, forse sorrideremmo – probabilmente come membri di due famiglie diverse – sulle cose infantili che abbiamo passato insieme: sicuramente ti ricorderesti come sono caduto dall’inferriata quando volevo stare su un piede solo. Ma perché mi metto a ricordare ora questi avvenimenti così dolorosi senza di te, privata della possibilità di crescere e non puoi ripensare alla tua infanzia? Solo io ho potuto vivere ciò che da bambini sembrava impossibile, stare insieme ogni giorno, le speranze del passato diventate amara tristezza dopo la tragedia, ore silenziose, intoccabili e immutabili accanto alla lastra di fredda pietra che ti ha condannato ad un eterno silenzio. Qualche anno fa mi era stato concesso, bambino ancora costretto a tornare a casa prima del tramonto, di sognare e vagheggiare progetti da solo nella mia stanza solitaria e ho pensato ad ogni vigilia di Natale: voglio stare con te la sera della vigilia, e il pino silvestre torreggiava su di noi come un cupo albero di Natale tra le tombe ricoperte di neve, in compagnia di persone senza vita dissoltesi in una sconosciuta lontananza, che osservavano muti, insensibili e ciechi mentre ti davo il pacchettino regalo. Per tanti anni ho mantenuto il segreto di questa vita inconscia, un adulto che si stava struggendo per una ragazzina di undici anni…
Ma ad un tratto, un cupo pomeriggio di agosto, per una mia decisione a volte crescente e a volte calante di porre fine a questa tormentata situazione a seguito d’uno strano avvenimento, ho cercato di convincermi che le circostanze della tua morte e tutto ciò che è accaduto dopo erano insignificanti rispetto alla tua assenza. Tu forse non ci crederai, piccolo amore mio, quanti si ricordavano di te, quando un’auto guidata da un conducente distratto ti ha investita sulle strisce davanti alla chiesa cattolica… e per un errore medico sei dovuta morire ventun anni fa. Ho scoperto che il pittore che conoscevo tramite i miei genitori era tuo zio e grazie al suo aiuto disinteressato sono riuscito a trovare ciò che era rimasto di te…
Sai, Szilvi, non ce la facevo più e dopo una lunga lotta interiore sono andato a cercare tua madre perché volevo sapere tutto, tutto, con un desiderio invincibile, valutare disperatamente la commozione, lacerando mille ferite mal rimarginate, percependo l’ingiustizia e l’assurdità della tua morte…
Quando la vidi venire verso di me sotto il diluvio col vento tempestoso che strappava i fiori del giardino, solo allora capii davvero cosa volesse dire per una madre perdere un figlio dopo averlo portato dentro di sé per mesi, messo al mondo e protetto, al sicuro dai pericoli… Vidi una madre consumata dal crudele dolore che durava da ventun anni, emaciata e smunta…
Per me tu sei veramente morta quel tragico pomeriggio. Allora sentii, da adulto, l’orrore indescrivibile della morte d’una bambina e la costernazione che parenti vicini e lontani devono aver provato il 21 maggio, giovedì pomeriggio alle cinque e mezza… Ora so di quel paio di pantofoline tipiche della pianura che avevi visto alcune settimane prima nella vetrina di un negozio di scarpe, che avresti voluto così tanto ma che non hai mai potuto portare… Riesco ad immaginare con quale impaziente entusiasmo hai portato a tuo nonno il pacchetto che ti era stato affidato e poi sei corsa a casa, al vostro appartamento dietro il mercato cittadino per provarle… ma sei arrivata soltanto fino alla chiesa. Non erano ancora le cinque. Sei stata portata in un ospedale fatiscente con attrezzature mediche obsolete, tra adulti alle prese con malattie e con se stessi e ti hanno messa in una stanza squallida e fredda che irradiava l’ansia mentre il livido gonfiore sulla fronte continuava a crescere e tua madre, in preda alla disperazione più totale, temendo ciò che era impossibile immaginare e che piombava all’improvviso, tremante di terrore, ti accarezzava dolcemente, mormorando parole di conforto…
Tua madre, nella sua disperazione, aveva preso forza dalle parole dei medici, che dicevano che non eri grave, che dovevi rimanere solo in osservazione… Alle nove il telefono squillò improvvisamente, con un suono acuto, senza compassione, e le dissero che tu, ragazzina adolescente indifesa, eri stata portata d’urgenza all’ospedale regionale per delle complicanze impreviste, eri stata trasportata con un’ambulanza visto il peggioramento delle condizioni, era stata effettuata una tracheotomia, e dopo una notte trascorsa in stato d’incoscienza, eri stata operata venerdì mattina… Ma non ti è servito. Non si erano accorti che il giorno dell’incidente avevi avuto un’emorragia interna e il 25 maggio alle due di notte non eri più in vita…
Tutto ciò che è rimasto della tua breve vita bruscamente interrotta, ho avuto modo di vederlo ieri. Sai, hai un armadio tutto tuo, gli scaffali sono pieni di tutti i tesori tanto cari ad una ragazzina come te, la tua bambola francese, il tuo portacandele, la brocca intagliata che avevi portato in regalo da una gita scolastica… La scatola di gioielli conserva tutte le cose che ti hanno tolto prima del tuo ultimo viaggio: l’orologio, la collanina, gli orecchini e un piccolo braccialetto di cuoio che si era lacerato nell’incidente, ma anche così si vede che era un bell’oggetto, capisco perché ti piaceva tanto… C’è anche il libro dei ricordi in cui un compagno di classe ti aveva scritto “diventa una buona moglie!”. Ho visto un portafiammiferi di metallo e il posacenere che avevi fatto durante l’ora di applicazioni tecniche e sul quale avevi inciso una T e una S non terminata… le tue fotografie raccolte, mentre facevi la spaccata con un’amica, la preparazione per una relazione scolastica, e la tua foto che ho visto per la prima volta… le tue lettere… No, non credere che le abbia lette! No. Te le avevano scritte altri ragazzi… Le ho rimesse a posto intatte. Nell’impotenza d’un’ansia permanente, dopo una notte insonne, ieri mattina all’alba sono venuto alla tua tomba, e lì, nel giardino dell’eterno riposo, nel dolore del lutto, improvvisamente, con la stessa gioia ansiosa che sentivo tanto tempo fa da bambino tremante al pensiero dell’incontro, sono riuscito a pensare a te, anima angelica ora persa nella nebbia indissolubile della lontananza infinita e invisibile che mi amerà fino alla fine dei tempi ed anche oltre…

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Pomeriggio di aprile

Il debole venticello primaverile tremolava, con un tenero soffio, tra la luce scintillante dei raggi solari nei tuoi biondi capelli e mentre ti avvicinavi a me sentivo l’odore del tuo stordente profumo impregnare la fiacchezza del pomeriggio d’aprile dall’aria fresca, che i contorni della tua graziosa figura dissolverono nel giro di pochi istanti. Sollevasti su di me i tuoi occhi castani pieni di magia fiabesca all’ombra degli alberi di piazza Liszt spalancandomi di fronte il mondo affinché attraverso la nebbia dell’universo inimmaginabilmente sconfinato io possa osservare l’infinito in mezzo ai dubbi balenanti del mio stordimento, sperduto nello sfarzo di mille colori della tua bellezza inebriante.
Il minuto fuggente per lo spavento, all’udire la tua voce, si volatilizzò, messo in soggezione, quando i nostri volti si toccarono…
Ai tavoli da giardino del ristorante mi trafisse, come un fulmine dal sospiro silenzioso, il riconoscere che è un vero privilegio per me la tua vicinanza nei momenti di rinvenimento di un pomeriggio con la natura in fiore che ci abbracciava.
Non ti conoscevo… per questo potevo ritenere semplicemente che la tua bellezza era quella che mi aveva accecato stregandomi e aveva alterato tutto intorno a te facendolo diventare bello e prezioso.
Nel vortice iniziale che mi si era riversato addosso, nella superficialità delle scintille davanti ai miei occhi non riuscivo a vedere chiaramente tutto il tuo essere, mi era pervenuto soltanto ciò che la maggior parte delle persone vede quando ti ammira…
Ma il tempo che vola via inesorabile, con la sua incommensurabile costanza, ha tuttavia lasciato, ubbidiente, minuti sufficienti per comprendere che la mia mente possa veder avverarsi chiaramente tutto ciò per cui avrei voluto incontrarmi con te.
Le tante nuvole foriere di pioggia che correvano sopra le nostre teste avevano oscurato la potente luce dei riflettori intorno alla tua vita per farmi vedere per qualche minuto i tuoi veri valori alla luce del sole che faceva capolino pallidamente e senza forza tra le nubi.
Dopo averti ascoltata e dopo che i tuoi pensieri, che generavano dentro di me tante visioni, mi giunsero tra le ombre e in mezzo alla separazione dei brandelli della mia incredulità diventata sempre più reale, un impietoso istante penetrò in questo mondo idilliaco.
Ci separammo davanti al negozio della parrucchiera… la triste fiacchezza abbattutasi intorno, intrecciata e accomodatasi sulle panchine della piazza, si distese sul lastricato, lungo il quale dovetti camminare desolato e privato del sogno, trascinandomi nel vuoto opprimente della quotidianità sulla quale, senza di te, calò un grigio velo.
Attraversai la strada con lo sguardo vitreo, stordito e indebolito, diretto verso il ristorante dove, lì davanti, anche se solo per breve tempo, ho potuto vivere il miracolo e sono stato toccato da ciò che credevo dimenticato e inadatto per me e trasognato alla vista del tavolo ormai triste e malinconico, ridestando il tempo perduto nell’impenetrabilità del passato, e divenni consapevole che forse c’è ancora speranza…
Ti sono debitore di quei minuti che mi hai regalato avvicinandoti col tuo essere, poiché senza volerlo, quel pomeriggio di aprile con un debole venticello primaverile ho potuto scoprire ciò che cercavo da tempo, la cosa più sublime, Te, la mia musa…

Le bella barista

– Non incontravo da tanto una ragazza con uno sguardo così chiaro, se la guardo negli occhi la nebbia intorno a me si dirada e non mi accorgo più di star appoggiato ad un bancone reso appiccicoso dalla schiuma della birra. Intorno a me spariscono gli uomini dalle facce annoiate e con lo sguardo vuoto perso nel nulla che sbloccati dall’ebbrezza dell’alcool fanno tentativi coraggiosi quando parlano. Tentano di carpirti il numero di telefono con allusioni inequivocabili e con luoghi comuni ripetuti mille volte sperando che le immaginazioni avverino i loro primitivi desideri fatti scattare dalla tua bellezza. Ho paura che la situazione che mi si è presentata adesso in questa bettola che nuota in una nuvola di fumo e davanti a persone che bramano impazientemente l’alcool, è una situazione abbastanza superficiale per poterti dire ciò che sento, descrivendo la luce che scendendo sul tuo volto è scivolata via tremolando, mentre il giovane in piedi accanto a me, chinandosi sul bancone, ha ordinato: “Due vini con acqua frizzante, per favore”. – Aspetto con pazienza che Timi, la bella ragazza bionda al bancone, porti a termine l’ordinazione di questo giovanotto e gli faccia pervenire il bramato nettare. Mentre la guardo lavorare, mi arrovello su cosa mi abbia colpito così tanto ieri di lei quando l’ho vista per la prima volta e perché vedendola mi faccia scattare quest’immensa sincerità e non mi disturba espormi così. La voce sensuale e morbida di Timi mi ha risvegliato dai miei vagheggiamenti segnalandomi con gioia che è di nuovo in ascolto, così proseguo:
– Desidero che tu stia sdraiata accanto a me in una stanza semibuia e che io possa ammirarti. È strano dire a una donna attraente che tutto ciò appagherebbe il mio desiderio, toccarti delicatamente il volto, l’ondeggiare tenero ed appena percepibile delle linee del tuo corpo, e mi renderebbe felice la vista dell’ombra della luce che disegna la tua silhouette. Ti darei un lieve bacio sulla fronte e sulle palpebre chiuse, e comunque non mi mancherebbe la completezza. Ovviamente tutto questo è solo un sogno che tra poco si disperderà quando mi dirai che hai un felice rapporto di coppia da anni. Ma comunque hai risvegliato in me un ardore che ha colmato la mia anima d’un piacevole calore restituendomi la speranza dell’amore che per quello che mi era capitato negli ultimi anni mi ero ritenuto incapace.
– Non ho il ragazzo, ci siamo lasciati due mesi fa – disse piano ma nel nostro intimo mondo irruppe nuovamente una donna che voleva comprare delle sigarette e non era in grado di decidere con quale marca intendesse intossicarsi.
La guardai di traverso e avrei voluto che vedesse il mondo intorno con gli altri colori della speranza e l’avrei abbracciata molto volentieri.
– Tu comprane uno e io ti compro l’altro pacchetto di sigarette – le dissi voltandomi verso di lei.
– Sei impazzito, capo? Che ti sei fatto? – chiese con gli occhi di fuori.
Ritornando ai miei pensieri mi sradicai da questa volgare conversazione e costruii nella mia mente delle felici immagini sul futuro, vedendo l’angolino fuori mano al piano di una delle sale da tè di via Ráday mentre alla luce delle candele bevo un tè insieme a Timi e in questo stretto spazio le nostra ginocchia inevitabilmente si toccano… Prese la tazza di tè, che effondeva vapore caldo e profumato, stringendola con i palmi e mi disse con un sorriso:
– Mercoledì sera non lavoro – sussurrò Timi avvicinandosi al mio volto.
Quel mercoledì sera che non tornerà più era come se un calore interiore avesse riempito la parte superiore della sala da tè di via Ráday, un calore che Timi emanava potentemente e che, seduta su un materasso vicinissima a me, si era perduta con i suoi occhi azzurri dentro il mio sguardo. Dalla tazza tenuta davanti alla bocca saliva un leggero vapore così che il suo bel volto brillava ancor più incantevole. In quel momento ho capito che la donna è la custode del mistero impenetrabile dell’esistenza, creando il mondo nuovamente al momento della concezione nell’utero come una dea, dall’inizio dei tempi. Mentre mi aprivo al vero significato della femminilità, mi piegai più vicino a lei pieno di pentimento e per essere perdonato per aver ferito le anime femminili, che nel corso della mia vita ho trattato male senza volerlo e la maggior parte per mia ignoranza.
– Hai una faccia strana adesso, il tuo sguardo riflette confusione – affermò Timi un po’ preoccupata.
– Forse – risposi sotto voce – Credo che grazie alla tua essenza posso illuminarmi e purificarmi, da oggi guardo le donne con occhi diversi e mi rivolgerò a loro con grande rispetto.
– Vuoi già guardare altre donne? – chiede ridendo.
– Il tuo fascino irradiante con angelica integrità mi ha fatto comprendere quale miracolo divino è la donna e quanto noi uomini non sappiamo fare attenzione a questa creatura e vi vediamo solamente il compimento dei nostri desideri egoisti. Mi hai fatto capire quanto poca è la tenerezza e la dedizione che noi uomini, compreso me ovviamente, rivolgiamo alle donne.
– Spero davvero di avere un buon effetto su di te – sorrise di nuovo Timi.
– Per qualche grazia particolare stasera ho compreso quanto non conosco le donne e quanto i miei istinti maschili non mi hanno permesso di vedere ma mi hanno spinto sempre più sfrenatamente da una donna all’altra.
– A quanto pare non hai vissuto una vita morigerata.
– Ho vissuto una vita sfrenata, la passione impossessandosi di me mi ha accecato privandomi della profondità dei sentimenti, della magia della vicinanza, dell’unione delle anime. Ero spronato da violenti desideri invincibili e che si ricreavano di continuo che con il loro incessante frastuono mi portavano, come un treno espresso in corsa, vicino ai veri valori che brillavano in attesa lungo le banchine male illuminate delle stazioncine di provincia protendendo le mani tremanti verso di me e cercando di farmi capire che devo tirare il freno d’emergenza e scendere nell’esistenza all’apparenza grigia per poter scoprire il loro scintillare nella veglia notturna. Avrei potuto scoprire il diamante della felicità ritrovata in piccole casette modeste e praticamente invisibili da lontano che prima non avevo mai potuto conoscere in quanto vedevo solamente stazioni illuminate e risplendenti che nuotavano in un mare di luce dove ricevevo subito la felicità, o meglio tutto ciò che è solo una minima parte della felicità. Nella mia infinita semplicità ritenevo che solo questi grandi padiglioni possono offrire il bello e meritano il buono, nell’economia dei privilegiati, mentre i veri privilegiati si elevano al paradiso riparandosi in terre lontane e in stazioni di provincia, seduti in silenzio su una panchina non dipinta davanti ad una casa dall’intonaco scrostato. Stando seduto qui con te vedo che parte insignificante è questa di tutta la totalità.
– Non ci sono limiti per la totalità della felicità– dichiarò placidamente Timi.
– Ne vedo perfettamente dinanzi a me i contorni. La tua intera essenza è la felicità stessa compiuta.
– Ma se neanche mi conosci.
– Ciò che conosco di te è sufficiente a farmi sentire che è così. E affinché la brace diventi fiamma è sufficiente un venticello vagante che si alza all’improvviso e che soffia la vita nel fuoco e le cui fiamme possono addirittura incendiare tutta una città. Comunque hai ragione, è illimitato tutto ciò che posso scoprire in te in ogni momento, piccole scintille che avvampano nel mio cuore. Il momento che rinasce mille volte quando ti incontri con me.
– Mi incontro con te – udii la voce della fata e mentre le sue parole si sperdevano nell’aria satura di tè profumato, sentii che ad un tratto il mondo si completa nella mia anima con tutti i suoi miracoli, il suo sublime sentimento e le immagini idilliche. Ho potuto rivivere i dolci momenti della mia rinascita, disciolto e disperso nella totalità della felicità che accarezza delicatamente e abbraccia teneramente il mio corpo accaldato.
Sorbendo un sorso di tè, sentii un gusto particolare completamente diverso da quello di qualche minuto prima e la sua freschezza percorse il mio corpo con un gradevole calore. Per un qualche miracolo, con la presenza della bella ragazza bionda seduta accanto a me lì nella sala da te di via Ráday, sono potuto rinascere senza alcun intervento esterno in un nuovo mondo che, sebbene già lo conosca, vi posso comunque riscoprire ancora tante meraviglie grazie alla ragazza amata, fino alla fine dei tempi…

 

Amore inascoltato

 Al tempo in cui stavo scrivendo il libro “Le donne della mia vita” sui siti di ricerca partner su internet, mi incontravo ogni giorno con numerose ragazze, soprattutto per raccogliere materiale, e loro mi raccontavano storie sconcertanti o divertenti. Voglio essere sincero ed aggiungere che anch’io speravo in segreto di trovare in qualcuna di loro, grazie alla fortuna, la magia della scintilla dell’amore, premonitrice del raggiungimento della felicità. Una volta presi appuntamento per un martedì sera nella piazza davanti alla Basilica. La ragazza che aspettavo era talmente bella sulle fotografie che aveva inserito nella scheda di ricerca partner che a dir la verità quasi dubitavo fossi così in realtà e nei miei momenti d’insicurezza dubitavo anche del fatto che avessi a che fare con la donna in fotografia. Mi sedetti sugli scalini davanti alla Basilica e meditai su cosa stessi facendo io lì, che tipo di sogno stessi rincorrendo. Mi sembrava tutto ridicolo e illusorio, poi ad un tratto una si sedette accanto a me e quando la guardai tutto divenne sogno e illusione. Ci guardammo per alcuni minuti senza parlare, nel nostro sguardo si mescolarono meraviglia, gioia, curiosità ed entusiasmo. Non ci sembrava importante parlare e presentarci. Era una sensazione strana sentire così vicina una persona sconosciuta; starci seduto accanto senza aver neanche sentito la sua voce e malgrado tutto non considerarla sconosciuta. Mi sentivo stordito e mi sembrava che le persone intorno noi, per riguardo all’importanza di quell’attimo, camminassero in punta di piedi, abbassassero la voce o trattenessero il respiro quando ci passavano davanti. Per me il ritmo frenetico del tempo si fermò per avverare in quel momento felice e sublime speranze e desideri considerati perduti che abbiamo potuto stabilizzare persi nel nostro sguardo. Non contava più nulla, né dove lavorava, dov’era nata, perché sta sulla terra, niente, solo quell’attimo, e cercai di far durare quest’idillio il più a lungo possibile con tutti i miei nervi, i miei organi sensori e la mia mente. I limiti dell’ombra della Basilica ci racchiusero sollevandoci in una dimensione d’un altro mondo più elevata. Le toccai la morbida mano e chiusi gli occhi, nel frattempo non pensavo ad altro, soltanto a Lei, e purtuttavia mi si stagliarono davanti delle visioni. Quindi udii della musica provenire dal profondo della Basilica e arrivare sino a me impregnando la mia anima con le note malinconiche d’una melodia gradevole e lanciando il mio essere nell’estasi dell’annullamento totale. Sul mio palmo sentivo la delicata stretta della sua mano calda e morbida e la forte sensazione dell’attaccamento. Il calore dell’affetto che fluiva dalla ragazza mi riscaldò completamente il corpo riempiendolo d’un piacevole tremore sino ad allora mai provato. Non sapevo, e nemmeno volevo saperlo, cosa mi stava succedendo perché temevo che qualunque cosa esterna che disturbasse questo mondo di sensazioni l’avrebbe fatto svanire. Come se la ragazza volesse apposta spezzarlo, mi lasciò all’improvviso la mano, mi fissò dritta negli occhi e mi si gettò al collo come un bambino stringendomi forte a sé.
– Cos’è successo? – le chiesi ma non rispose.
Il suo corpo tremava e sentii distintamente delle piccole lacrime rotolare giù per il suo volto e poi cadere sul mio braccio che la cingeva.
– Non c’è nessun problema – le dissi consolandola e accarezzandole i capelli.
Non so per quanto tempo mi strinse a sé così e tutto ciò che accadde era per me incomprensibile. Qualsiasi cosa le chiedevo lei non rispondeva a niente. La scostai lontano da me con delicatezza, le presi con le mani il volto bagnato dalle lacrime e guardandola negli occhi tristi rimasi in piedi davanti a lei disorientato.
In seguito trasse dalla borsetta un pezzo di carta, ci scrisse sopra qualcosa e me lo mise in mano. Mi sorrise per un’ultima volta e poi scappò via all’improvviso.
La guardai correre costernato, con i piedi piantati a terra. Era già scomparsa in una stradina laterale quando mi venne in mente il foglietto. Lo aprii e lo lessi. C’erano scritte due parole: Sono sordomuta.

La confessione

 Indossavo il mio abito talare e abitavo ancora nel seminario quando si verificò questa insolita situazione nel corso di una messa domenicale. Non molto dopo aver ricevuto l’abito talare, sentii un gran bisogno di confessare, malgrado fossi stato consapevole che tale privilegio lo avrei avuto solamente dopo l’ordinazione a sacerdote. Con animo colmo di speranza e interesse, entrai di nascosto in uno dei confessionali dal lato del sacerdote, mentre i miei compagni seminaristi cantavano “Venite a me” in chiesa. La voce del cantore spiccava su tutte le altre e mi spinse subito ad agire, chiudendo la porta dopo essere entrato. Dopo un paio di classiche confessioni, entrò una giovane donna e mi salutò con “Sia lodato Gesù Cristo”.
– Mi confesso a Dio onnipotente e a lei, padre, perché ho commesso questi peccati dall’ultima volta che mi sono confessata – disse ripetendo il solito e noioso ritornello introduttivo, poi fece una lunga pausa.
– È qui? – chiesi avvicinandomi ai forellini che separavano i due compartimenti.
– Sono qui. Sto solo cercando di raccogliere i miei pensieri e i miei peccati – disse con voce controllata. Naturalmente attesi con devozione che lei continuasse, come si conviene ad un prete avvolto nel silenzio. A un certo punto riprese a parlare – Caro padre, i miei peccati sono molto gravi. Gravissimi. Forse sono addirittura imperdonabili.
– Figlia mia, Dio è buono e misericordioso e lui perdonerà i tuoi peccati, se ti rivolgi a lui con un cuore puro e sincero potrà vedere il tuo pentimento.
– Ho peccato! Sono caduta nel peccato, merito di essere dannata mille volte. Non esiste conforto o perdono per queste cose – affermò destando sempre più il mio interesse nonostante non avesse mai fatto allusioni ad un peccato e non sembrasse neanche pentita.
– Dapprima ho pensato che fosse la fragilità a spingermi nel mondo del peccato – confessò con determinazione – È stata forse la fragilità e l’incredibile attrazione che provavo per quell’uomo che mi aveva trovato là dove ero rinchiusa. Mi sono imposta di resistere, tutta tremante, ma ho fallito miseramente e ho dato la caccia alla mia preda con un insaziabile desiderio sessuale. Gli strappai i sacri vestiti di dosso in un impeto di passione malata. Gli graffiai la schiena, gli succhiai il collo. Tutti i miei desideri repressi giunsero al culmine e mi spingevano inconsciamente. Non riuscivo a resistere. Un ceffone mi riportò alla realtà, che ricevetti per un mio graffio più forte. Dopo non ci incontrammo più perché aveva paura. Continuava a crescere in me però il desiderio e in mancanza di un uomo, cercai consolazione con una donna che viveva con me sotto lo stesso tetto. Fece l’amore con me piangendo e tremando. Fu allora che capii ciò che volevo veramente. La sua paura eccitò ancora di più il mio insaziabile desiderio di raggiungere l’orgasmo. Così la volta successiva che ci siamo incontrate, cosa inevitabile, l’ho picchiata e umiliata di santa ragione. Non poteva fuggire da dove vivevamo, così potevo tiranneggiare su di lei, l’ho messa a disagio, l’ho fatta diventare la mia schiava e torturavo ininterrottamente la sua anima e il suo corpo, allo stesso modo. Mi sentivo sempre più a mio agio, così comprai un paio di manette e la ammanettai al letto di ferro e godevo nel vederla soffrire. – A questo punto interruppe la confessione e mi ci vollero alcuni secondi per ritrovare la voce.
– Dunque, figlia mia, non c’è alcun dubbio che Satana si sia impossessato di te. Il maligno ha posseduto la tua anima e domina sul tuo corpo. La penitenza non sarà sufficiente, anche se te ne darò tanta, a piene mani. Penso che hai bisogno d’un medico. Cerca prima possibile uno psicologo il quale, si spera, sarà in grado di farti rientrare nei ranghi adeguati dopo una lunga terapia.
– Padre, per favore, mi assolva, mi dia una penitenza pesantissima. Voglio liberarmi! – implorò.
Va da sé che non lesinai padrenostri, avemarie e tutto il rosario da recitare più volte al giorno. La donna che si era confessata si allontanò subito dopo e poiché quest’attività mi aveva estenuato, uscii anch’io dal confessionale. Non riuscivo a vederla da nessuna parte. Anzi, non vedevo nessuno intorno ai confessionali. Era semplicemente scomparsa. Uscii dall’area del confessionale dirigendomi a pochi passi dalla porta che collega la chiesa e il seminario. Durante la messa il corridoio era sempre deserto, per tutto il tempo che ho vissuto lì, dato che lo utilizzavamo solo noi. In quel momento però una figura scivolò veloce e scomparve lungo uno dei corridoi in un batter d’occhio. Rimasi lì sbigottito e sentivo il battito delle scarpe allontanarsi sempre di più e poi perdersi del tutto tra i freddi ed antichi muri del cupo seminario. Ancora oggi non ho idea di chi si nascondesse sotto quei vestiti familiari, malgrado che sicuramente l’avevo già incontrata più volte prima, dato che la persona che scappava era una suora.