Il mio piccolo amore defunto

A Szilvi Tóth, che non ha potuto compiere dodici anni

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 Quando cercavo un momento di pace in un periodo tempestoso che infuriava nella mia vita andavo spesso a passeggiare nel cimitero della nostra città natale. Camminando tra le ceneri delle innumerevoli vite passate, guardando gli epitaffi scoloriti, le lapidi di legno marcite e i nomi sbiaditi di gente morta sconosciuta, ho cercato di rievocare la memoria delle persone tumulate vissute molto tempo prima che io nascessi, seppelliti e dimenticati decenni fa, immaginare il modo in cui avevano vissuto e comprendere in quale ombra mistica si son perduti in eterno. Vedendo sotto i nomi dei defunti soltanto alcuni anni di differenza tra le date di nascita e di morte, pensavo sempre con sgomento, compassione e con una stretta al cuore alle loro brevi e piccole vite, senza immaginare che in un angolo remoto e impervio del cimitero, all’ombra di un immenso pino silvestre, avrei visto la tua foto da bambina su una piccola tomba.
Come potrei dimenticare, e sicuramente anche tu te lo ricordi, quanto ci siamo voluti bene seppur con la timidezza infantile, con cuore sincero e onesto, e quanto eravamo contenti quando ci incontravamo al parco giochi tra la casa dei tuoi nonni e quella dei miei genitori… Quanti indimenticabili ricordi, eppure così pochi per tutta la vita, ora diventati un dolore bruciante che la memoria conserva in eterno: le confessioni sussurrate tra noi, ad occhi chiusi, con la testa girata… No, non temere Szilvi! Non dirò neanche una parola, come potrei scrivere dei nostri segreti? Nessuno potrà più conoscere i tuoi progetti, i tuoi sogni. Oh, come tremavo di gioia quando parlavi e mi raccontavi di come sarebbe stato il futuro che avevamo creato insieme tra sogni e speranze irrealizzabili, facendomi sentire un privilegiato mentre per pochi e fantastici istanti tu, sollevando su di me i tuoi occhi celesti, mi sorridevi con innocenza infantile e grazia angelica. Occhi che qualche mese dopo si irrigidirono sul gelido marmo duro ed insensibile, che il cimitero nasconde da ventun anni in un silenzio insondabile.
Quanti anni senza valore sono volati via inesorabilmente ed ineluttabilmente strappando milioni di cuori con tanta gioia e ugualmente tanto dolore e sciogliendosi nel profondo dell’anima, mentre cambiamenti per te inimmaginabili prima della tua morte hanno scombussolato l’anima e formato il corpo fisico in crescita dei tuoi ex compagni di scuola che hanno vissuto quei meravigliosi momenti che non torneranno mai più e che al solo guardare indietro, preso atto con angoscia del loro trascorrere, ci vengono i brividi. Abbiamo sentito quei sentimenti e desideri meravigliosi, sconosciuti e sempre più gloriosi col passar degli anni, che ti sono stati rubati, piccola bambina undicenne, con crudeltà e insensibilità, illegittimamente. È inconcepibile e impensabile che non hai mai potuto prendere parte a niente e mentre io sono diventato adulto vivendo tutto ciò, tu avrai per sempre undici anni, la stessa ragazzina allegra che lanciava sassi sulla strada insieme a me, che salutava gli sconosciuti con nomi che ci eravamo inventati lì per lì e che dicevamo scherzando agli altri bambini che eravamo novelli sposi. Eri una sposina di undici anni quando all’improvviso non sei più venuta a giocare… che continuavo a cercare invano con la dignità di un ragazzino, combattendo contro tutto e tutti, col cuore oppresso… Che davanti agli adulti, per paura che si venissero a scoprire i miei sentimenti d’amore, ho potuto ritrovare solo da adulto e il rivedersi mi fa crollare addosso tutti i terribili tormenti accumulatisi durante le settimane e i mesi trascorsi nel frattempo, che il destino, in un momento crudele tra le vicissitudini della mia vita, mi ha rivelato: il mistero della scomparsa della mia innamorata che arrossiva timida…
Se tu avessi potuto vivere, forse sorrideremmo – probabilmente come membri di due famiglie diverse – sulle cose infantili che abbiamo passato insieme: sicuramente ti ricorderesti come sono caduto dall’inferriata quando volevo stare su un piede solo. Ma perché mi metto a ricordare ora questi avvenimenti così dolorosi senza di te, privata della possibilità di crescere e non puoi ripensare alla tua infanzia? Solo io ho potuto vivere ciò che da bambini sembrava impossibile, stare insieme ogni giorno, le speranze del passato diventate amara tristezza dopo la tragedia, ore silenziose, intoccabili e immutabili accanto alla lastra di fredda pietra che ti ha condannato ad un eterno silenzio. Qualche anno fa mi era stato concesso, bambino ancora costretto a tornare a casa prima del tramonto, di sognare e vagheggiare progetti da solo nella mia stanza solitaria e ho pensato ad ogni vigilia di Natale: voglio stare con te la sera della vigilia, e il pino silvestre torreggiava su di noi come un cupo albero di Natale tra le tombe ricoperte di neve, in compagnia di persone senza vita dissoltesi in una sconosciuta lontananza, che osservavano muti, insensibili e ciechi mentre ti davo il pacchettino regalo. Per tanti anni ho mantenuto il segreto di questa vita inconscia, un adulto che si stava struggendo per una ragazzina di undici anni…
Ma ad un tratto, un cupo pomeriggio di agosto, per una mia decisione a volte crescente e a volte calante di porre fine a questa tormentata situazione a seguito d’uno strano avvenimento, ho cercato di convincermi che le circostanze della tua morte e tutto ciò che è accaduto dopo erano insignificanti rispetto alla tua assenza. Tu forse non ci crederai, piccolo amore mio, quanti si ricordavano di te, quando un’auto guidata da un conducente distratto ti ha investita sulle strisce davanti alla chiesa cattolica… e per un errore medico sei dovuta morire ventun anni fa. Ho scoperto che il pittore che conoscevo tramite i miei genitori era tuo zio e grazie al suo aiuto disinteressato sono riuscito a trovare ciò che era rimasto di te…
Sai, Szilvi, non ce la facevo più e dopo una lunga lotta interiore sono andato a cercare tua madre perché volevo sapere tutto, tutto, con un desiderio invincibile, valutare disperatamente la commozione, lacerando mille ferite mal rimarginate, percependo l’ingiustizia e l’assurdità della tua morte…
Quando la vidi venire verso di me sotto il diluvio col vento tempestoso che strappava i fiori del giardino, solo allora capii davvero cosa volesse dire per una madre perdere un figlio dopo averlo portato dentro di sé per mesi, messo al mondo e protetto, al sicuro dai pericoli… Vidi una madre consumata dal crudele dolore che durava da ventun anni, emaciata e smunta…
Per me tu sei veramente morta quel tragico pomeriggio. Allora sentii, da adulto, l’orrore indescrivibile della morte d’una bambina e la costernazione che parenti vicini e lontani devono aver provato il 21 maggio, giovedì pomeriggio alle cinque e mezza… Ora so di quel paio di pantofoline tipiche della pianura che avevi visto alcune settimane prima nella vetrina di un negozio di scarpe, che avresti voluto così tanto ma che non hai mai potuto portare… Riesco ad immaginare con quale impaziente entusiasmo hai portato a tuo nonno il pacchetto che ti era stato affidato e poi sei corsa a casa, al vostro appartamento dietro il mercato cittadino per provarle… ma sei arrivata soltanto fino alla chiesa. Non erano ancora le cinque. Sei stata portata in un ospedale fatiscente con attrezzature mediche obsolete, tra adulti alle prese con malattie e con se stessi e ti hanno messa in una stanza squallida e fredda che irradiava l’ansia mentre il livido gonfiore sulla fronte continuava a crescere e tua madre, in preda alla disperazione più totale, temendo ciò che era impossibile immaginare e che piombava all’improvviso, tremante di terrore, ti accarezzava dolcemente, mormorando parole di conforto…
Tua madre, nella sua disperazione, aveva preso forza dalle parole dei medici, che dicevano che non eri grave, che dovevi rimanere solo in osservazione… Alle nove il telefono squillò improvvisamente, con un suono acuto, senza compassione, e le dissero che tu, ragazzina adolescente indifesa, eri stata portata d’urgenza all’ospedale regionale per delle complicanze impreviste, eri stata trasportata con un’ambulanza visto il peggioramento delle condizioni, era stata effettuata una tracheotomia, e dopo una notte trascorsa in stato d’incoscienza, eri stata operata venerdì mattina… Ma non ti è servito. Non si erano accorti che il giorno dell’incidente avevi avuto un’emorragia interna e il 25 maggio alle due di notte non eri più in vita…
Tutto ciò che è rimasto della tua breve vita bruscamente interrotta, ho avuto modo di vederlo ieri. Sai, hai un armadio tutto tuo, gli scaffali sono pieni di tutti i tesori tanto cari ad una ragazzina come te, la tua bambola francese, il tuo portacandele, la brocca intagliata che avevi portato in regalo da una gita scolastica… La scatola di gioielli conserva tutte le cose che ti hanno tolto prima del tuo ultimo viaggio: l’orologio, la collanina, gli orecchini e un piccolo braccialetto di cuoio che si era lacerato nell’incidente, ma anche così si vede che era un bell’oggetto, capisco perché ti piaceva tanto… C’è anche il libro dei ricordi in cui un compagno di classe ti aveva scritto “diventa una buona moglie!”. Ho visto un portafiammiferi di metallo e il posacenere che avevi fatto durante l’ora di applicazioni tecniche e sul quale avevi inciso una T e una S non terminata… le tue fotografie raccolte, mentre facevi la spaccata con un’amica, la preparazione per una relazione scolastica, e la tua foto che ho visto per la prima volta… le tue lettere… No, non credere che le abbia lette! No. Te le avevano scritte altri ragazzi… Le ho rimesse a posto intatte. Nell’impotenza d’un’ansia permanente, dopo una notte insonne, ieri mattina all’alba sono venuto alla tua tomba, e lì, nel giardino dell’eterno riposo, nel dolore del lutto, improvvisamente, con la stessa gioia ansiosa che sentivo tanto tempo fa da bambino tremante al pensiero dell’incontro, sono riuscito a pensare a te, anima angelica ora persa nella nebbia indissolubile della lontananza infinita e invisibile che mi amerà fino alla fine dei tempi ed anche oltre…

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